venerdì 3 febbraio 2012

Quante parole, quali parole.


“A quei tempi, miei piccoli lettori, la nostra Italia era tutta divisa in feudi e castelli. “ dal libro “Biancaneve” di Laura Okelj Romiti


Fin dalle prime volte che mi furono raccontate le vicende della seconda guerra mondiale, quando ero poco più di una bambina, e ascoltavo testimonianze di quello che era il regime fascista o studiavo a scuola ciò che accadde a milioni di ebrei, mi sorgeva spontanea una domanda: perché idee così atroci non vennero ostacolate? Come è possibile che concetti alquanto estremisti si diffusero così facilmente?
Una domanda legittima, che col tempo sta trovando la sua risposta.
Quel periodo ha donato l'esempio più palese di come le parole possano essere usate come armi, e il saper manipolare tale strumento, può portare il manipolatore abile ad un potere enorme e pericoloso. Ultimamente ho letto allibita un libro pubblicato in Italia nel 1941, casa editrice “Carroccio” di Milano, titolo del libro: “Biancaneve”. L'autrice Laura Okelj Romiti narra ai “bimbi d'Italia” Biancaneve.
La fiaba a me nota, in questo libro ha subito dei ritocchi. Ogni venti righe di quel che si può definire la storia di Biancaneve, l'autrice ha pensato bene di inserire lunghe parentesi che sostanzialmente descrivono la bellezza dell'Italia grazie al Duce, o che alludono all'importanza di combattere contro “lo straniero”.
Come per esempio in queste frasi: “A quei tempi, miei piccoli lettori, la nostra Italia era tutta divisa in feudi e castelli. Ogni feudo aveva un re a parte, molti erano oppressi dal giogo straniero e questo rendeva necessarie delle pugne nelle quali sempre re Goffredo che era di sangue italiano risultava vincitore e ampliava il suo feudo! Da allora, ad oggi, che la terra nostra è TUTTA NOSTRA e che, go-vernata dal Duce, cammina per essere all'avanguardia nella storia del mondo...”.
La propaganda fascista era o-vunque e oggi la possiamo riconoscere facilmente, ma a quel tempo era così palese? Ma la manipolazione delle parole è un uso anche contemporaneo. Ne da un' esempio Gianrico Carofiglio, che nel suo libro “La manomissione delle parole” spiega ciò che accadde il 25 febbraio 2010, quando le Sezioni Unite della Cassazione giudicarono l'avvocato Mills colpevole di corruzione in atti giudiziari in concorso con Silvio Berlusconi. L'autore spiega che l'avvocato fu dichiarato colpevole di aver testimoniato più volte il falso al fine di occultare le responsabilità dello stesso Berlusconi, ricevendone in cambio grandi somme di denaro. Risultava quindi provata la sua colpevolezza, la sussistenza tanto di un corrotto quanto di un corruttore e infine che il reato era stato estinto per prescrizione, cioè per il decorso del tempo l'imputato non avrebbe scontato la pena.
Ma, come per magia, la vicenda riportata dai notiziari e dai quotidiani risultava essere un po' diversa: Il Giornale esordì col titolo “Processi, vittoria di Berlu-sconi” e definì Mills praticamente assolto. Il TG1 invece si aprì così: “Dopo l'assoluzione dell'avvocato Mills polemiche le opposizioni, la maggioranza dice: -Vittoria della giustizia-.” E per milioni di spettatori, grazie all'uso improprio delle parole, Mills era stato assolto e Berlusconi era innocente. E questo è solo un piccolo episodio, che però mostra un problema tutt'altro che insignificante, che colpisce tutti noi.

Ester Ricci

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